Gianna Spirito | Fotografa | Un’America Silenziosa
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Un’America Silenziosa

Un’America Silenziosa

Di che cosa parliamo quando parliamo dell’America? La domanda ha una scottante attualità e, ovviamente, vale ugualmente per chi scrive e per chi fotografa perché sono in molti a rifarsi a un immaginario collettivo figlio della cultura cinematografica che evoca da un lato la modernità pulsante delle grandi città e dall’altro la natura spettacolare dei parchi nazionali e degli scenari dei film on-the-road.
Gianna Spirito sa molto bene tutto ciò ed è questa la ragione per cui negli Stati Uniti è andata alla ricerca di un punto di vista originale. Lo ha fatto confrontandosi con gli stilemi della fotografia di architettura facendo emergere uno stile che da un lato tiene conto della lezione della Scuola di Düsseldorf con le sue riprese frontali di edifici visti come oggetti di still life e per l’altro fa sua quella di grandi autori come William Eggleston e Stephen Shore (e, più recentemente, di un outsider di valore come Mark Havens) che, attraverso il colore, hanno ripreso la banalità del quotidiano e sottolineato la perdita di identità di tante città americane.

Proprio osservando il paesaggio urbano statunitense, Gianna Spirito si è soffermata sui bassi edifici che le si paravano incontro e li ha ripresi con un rigore formale volutamente essenziale. Eppure, a chi sa osservarli, quegli stabili sanno raccontare storie appena nascoste dietro finestre sbarrate, sotto insegne inutilmente pretenziose, appena al di là di porte anonime. L’obiettivo coglie facciate dipinte in tinte chiare che trasmettono un senso di asciutta desolazione e un po’ ricordano quelle che in certi film western si affacciavano tutte uguali sull’unica strada della cittadina con la banca, l’ufficio dello sceriffo, l’albergo e il saloon affiancati l’uno accanto all’altro.

Gianna Spirito osserva tutto questo con uno sguardo europeo inevitabilmente critico e nelle sue fotografie pregevolmente stampate evita un approccio prevalentemente topografico per scegliere piccoli spostamenti del punto di osservazione grazie ai quali i suoi edifici, isolati da altri elementi, acquistano un’ inedita plasticità sottolineata dalla totale assenza di presenza umana, richiamata solo dalle automobili che sembrano posteggiate nel nulla.

Ma la ricerca della fotografa affronta anche un altro aspetto della vita americana, quello dell’enfasi che sempre accompagna certi simboli trasformandoli in feticci di un’ambigua dedizione. Ed ecco, quindi, una vecchia insegna della Coca-Cola cui il tempo e la ruggine hanno fatto perdere la brillantezza originale ma che emerge con inaspettato vigore dal buio dello sfondo. Su quello stesso nero profondo si stagliano in rigorosissime riprese frontali due automobili: una luccicante come appena uscita dalla fabbrica, l’altra scardinata dall’uso che ha opacizzato la carrozzeria lasciando sulla superficie segni e ammaccature. Così, nella loro diversità, anche queste diventano metafore di una intera civiltà dove a parlare non sono solo gli uomini ma anche gli oggetti da loro costruiti.

Roberto Mutti

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Progetti Gianna Spirito